di antoniorandazzo il 15 feb 2010 07:03
Ecco uno scritto che potrebbe far riflettere
LA MIA SICUREZZA STA NELL’IMMIGRATO
di Carmelo Labate
La migrazione è un fenomeno complesso, difficile da regolare e in continuo aumento nel mondo. Sembrava già imponente quando gli italiani partivano per ogni parte del mondo. Con gli stessi problemi che ora affrontano altri popoli. Oggi il fenomeno assume una dimensione globale.
Purtroppo esso si accompagna con l’instillazione di alte dosi di paura nei cittadini, complici la politica e i mezzi di comunicazione, addossando la responsabilità di molti reati agli immigrati specialmente se senza permesso di soggiorno. A ciò si aggiunge una non conoscenza dell'altro e un senso di egoismo o di giustificata salvaguardia del poco che si ha (soprattutto il lavoro).
Di conseguenza la nostra società va sviluppando reazioni di rifiuto dello straniero. Il Decreto-Sicurezza (2 luglio 2009) e l’omesso soc¬corso in mare ed altri episodi segnalano un abbruti¬mento delle coscienze e un guasto di civiltà. Si arriva a diffondere su facebook un giochi di società che festeggiano col suono di un campanello la sparizione di ogni barca di migranti e il rimpatrio di tanti e deportazioni in massa da un luogo all’altro.
Questa nuova legge, fatta per regolare i flussi migratori, costituisce in verità un ‘peccato originale’ . Nel senso che esso genera un mare di divieti che schiacciano la dignità della persona e i suoi diritti fondamentali. Infatti l’immigrato irregolare non può cercare e trovare un alloggio, visto che chi affitta a persone in queste condizioni corre il rischio del carcere. Non può inviare rimesse ai propri familiari se non rivolgendosi a nuovi mercati irregolari o criminali di money transfer. Non può iscrivere all’anagrafe un proprio figlio e quindi non può essere registrato come genitore. Non può sposare un cittadino italiano. Non può farsi curare mettendo così a rischio la propria salute e quella degli altri cittadini. Se vuole il permesso di soggiorno deve pagare una tassa (tra l’altro salata). E questo permesso gli viene consegnato al suo scadere, facendo finta di aver sbagliato qualcosa e ritardare per un altro lungo tempo. Chi è senza permesso rischia diversi anni di carcere in attesa del rimpatrio. Chi perde il lavoro, anche se in Italia da troppi anni e sposato con cittadini italiani e ha figli italiani, viene rispedito al paese di provenienza. Praticamente, con l’aver configurato come reato l’essere clandestino questa Legge sembra riesumare istituti tipici delle leggi razziali. Misure persecutorie che, per la loro gravità, superano persino quelle introdotte nel 1938, che non sottraevano alle madri ebree i figli dalle stesse generate. Prende piede l’idea di un popolo di “non-persone”, di esseri umani, uomini e donne invisibili. E’ una perdita totale di senso morale e di sentimento dell’umano . Eppure ciò accade nel nostro Paese, popolo di emigranti.
Ad uscirne calpestato è il più elementare senso di umanità. Il primo principio imprescindibile è che ci si trova di fronte a persone umane, uomini e donne, bambini e anziani, che hanno diritto ad essere trattate come tali. Che si tratta di persone ce ne avvediamo quando le chiamiamo in aiuto ai nostri bisogni. E tuttavia non ci chiediamo perché migliaia di donne e uomini ogni anno abbandonano la propria casa per incontrare tra noi questa miserevole esistenza. Provate a restare senza acqua per un giorno solo. A fare chilometri per riempirne una tanica. Ad andare nella savana a raccogliere legna con il terrore dei guerriglieri, più pericolosi degli animali.
Benedetto XVI lo ribadisce: “Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” . E’ certo che di diritti dichiarati ce ne sono a non finire. Convenzioni, Costituzioni, Ordinamenti nazionali e internazionali parlano di diritti inalienabili. Tutti sono uguali davanti alla Legge. Non c’è distinzione tra le persone basata sul sesso, sulla condizione sociale, sull'appartenenza etnica, sulla cultura o sulle convinzioni politiche o religiose o filosofiche. Per ben due volte la Costituzione italiana parla di diritto d'asilo. Ogni persona ha il diritto umano ad essere accolta e soccorsa. Diritto che si accentua in situazioni di estrema necessità, come per esempio l'essere in balia delle onde del mare.
Ma anche la comunità cristiana ne esce calpestata. Perché il fenomeno migratorio di oggi interpella fortemente la nostra fede cristiana e il nostro laico civile impegno. Non possiamo tollerare che un decreto-sicurezza introduca il reato di clandestinità, l’idea del povero come delinquente e della povertà come delitto . In quanto cristiani siamo chiamati a sfidare le diffuse tendenze xenofobe e razziste con la disobbedienza civile. Leggiamo in Atti (5,29): "Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini" . Per questo siamo chiamati ad attualizzare la tradizione biblico-cristiana del diritto d’asilo; a farci “santuario di protezione e difesa” per i poveri e i deboli sottoposti ad abusi o che rischiano la vita sia mentre vengono da noi, sia quando sono rimandati nei paesi d’origine.
Questo mandato lo riceviamo dalla Parola di Dio: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). "Come sentinelle del mattino" (Is 21,11-12) dopo aver ascoltato il grido di aiuto bisogna promuovere, con attivo impegno anche politico, prospettive di speranza, che preludano all'alba di una società più aperta e solidale.
Genesi (Gen. 18,1-8) ci racconta un episodio illuminante. Abramo sotto le querce di Mamre accoglie con tutti gli onori tre ospiti stranieri di cui non sa nulla. Abramo, appena li vide, corse loro incontro e s’inchinò fino a terra davanti a loro. E li pregò di non andare oltre, ma di fermarsi a riposare all’ombra di un albero, portò loro l’acqua e il pane e per loro fece preparare un cibo che sostenesse i loro passi nel cammino che ancora restava loro da fare. Accogliere senza ancora conoscere? Lo faremmo noi? Non lo so davvero! Ma ne dubito. A molti sembrerebbe quasi doveroso un atteggiamento di prudente saggezza. Eppure l’autore della lettera agli Ebrei (13,2) raccomanda: “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”. Sappiamo che nemmeno la famiglia di Gesù è stata immune dall’esilio: dovette infatti riparare in Egitto (terra straniera ma ospitale) per salvare il Bambino Gesù dall’odio di Erode (Mt 2,13). E in 1Gv. 3,17-24: "Se uno ha ricchezze in questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figliuoli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità”. Infine nel vangelo di Giovanni il significato pregnante del verbo “conoscere” non è una mera conoscenza intellettuale, ma una dimensione pienamente esperienziale, di comunione per amore.
Certamente lo sviluppo attuale mostra imprevedibili risvolti del fenomeno migratorio, ma occorre l’onestà intellettuale dei politici e l’impegno collettivo a non regredire e a non tradire le conquiste. Le misure, ispirate a criteri di sicurezza e di ordine pubblico e che assegnano agli esecutori un alto margine di discrezionalità, particolarmente in questa circostanza, sono frutto di ideologie egoiste e divengono fonte di discriminazione e di ingiustizia. Anche se sappiamo che bisogna armonizzare i diversi assetti legislativi nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati.
E’ tempo, però, di prendere la parola. Per promuovere tutti insieme i diritti umani per tutti. Spieghiamo ai nostri figli e agli immigrati i loro diritti sempre, ma soprattutto quando la realtà in cui vivono si discosta visibilmente da quanto viene sancito. I diritti umani hanno un ruolo sociale indispensabile. Sono la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze tra gruppi sociali e Paesi. Ci sono troppe persone affamate, troppi conflitti violenti, troppe persone perseguitate per il loro credo politico o religioso, per la loro condizione economica e culturale. Resta ancora una lunga strada da percorrere per eliminare ogni discriminazione e riconoscere a tutti pari dignità.
Parlarne è meglio che dimenticare, perché dovrebbe significare ripensare, rileggere, confermare, preoccuparsi delle persistenti larghe inadempienze. Non soltanto in tono celebrativo, ma concretamente sull’impegno che ciascuno assume per applicare quei diritti nel quotidiano. Il condividere porta a conseguenze pratiche e quotidiane: nel nostro vissuto, in famiglia, nella professione, nei rapporti amicali e sociali. Per esempio, far apprendere la lingua italiana può aiutare a liberarsi da tante schiavitù. E, quando possibile, offrire protezione e ospitalità per restituire loro la dignità che meritano.
Soltanto una volontà politica distorta può negare che l’Italia sia un Paese multietnico e negare l’evidenza del servizio indispensabile che gli immigrati rendono agli italiani. Lavorano anche se sono senza permesso di soggiorno (il sommerso piace a chi non vuole concedere diritti sindacali e ama evadere le tasse); i più tra gli immigrati (ormai di seconda o terza generazione) hanno una casa, una famiglia, pagano le tasse.
Per affrancare queste persone dai trafficanti sarebbe meglio fornire nuovi canali per l’immigrazione legale. Il fenomeno, dunque, andrebbe prevenuto, da una parte, con contrapposizione a chi sfrutta l'espatrio degli irregolari e, dall'altra, con la cooperazione internazionale, mirata a promuovere la stabilità politica nei Paesi di origine e a rimuovere le cause endemiche del sottosviluppo. Fermi restando la libertà di emigrare, il diritto di asilo, la sicurezza dei cittadini, la libertà per tutti di vivere dignitosamente.
L'esodo di grandi masse da una regione all'altra del pianeta, che purtroppo spesso diventa una drammatica odissea umana per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza positiva la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, sia nei vari Paesi di origine che in quelli di arrivo. La società, infatti, è anche frutto delle mutue relazioni esistenti tra i suoi componenti, e dunque anche tra immigranti e autoctoni. La loro capacità di dialogare fa giungere al reciproco arricchimento creando così una società "nuova" per tutti. “La pluralità è ricchezza e il dialogo è già realizzazione, anche se imperfetta e in continua evoluzione, di quell'unità definitiva a cui l'umanità aspira ed è chiamata" (EMCC, 30).
Dove lo straniero diventa ospite e viene accolto si smonta, infatti, gradualmente la possibilità di vedere l'altro come un nemico. Uguaglianza e libertà restano principi astratti se non viene praticata l’ospitalità e se la politica non crea condizioni adeguate per una saggia integrazione (non assimilazione). Dico così perché spesso presi dalla paura dell’identità dell’altro o cerchiamo di riportarla alla identità della cultura dominante o pratichiamo pratiche assistenziali che feriscono la stima che essi hanno di loro. Parole di fiducia e di speranza non hanno presa se non sono percepite come partecipazione e solidarietà da parte nostra, se non sono accompagnate da interventi concreti. Certamente anche l'immigrato dovrà impegnarsi per una giusta integrazione.
Uno strumento per svegliare la sensibilità dei cittadini potrebbe essere quella di stampare dei Permessi di Soggiorno in Nome di Dio e distribuirli a tutti in ogni parrocchia o chiesa o per strada o a scuola. Senza cadere nell’abuso del Nome di Dio come si è fatto nella storia e si fa ancora oggi al punto tale che il suo significato è diventato opaco e vuoto, asservito ai vari poteri che hanno tentato di rinchiuderlo dentro i loro schemi. (13.11.09).
La definizione è di Mon. Agostino Marchetto (ZENIT.org 25 agosto 2009). Si sa che oggi la gente lascia i propri Paesi per guerre, violenza, violazione dei diritti umani, carestia e altre catastrofi naturali o provocate dall'uomo. O per far fronte alle proprie necessità e a quelle dei familiari, o semplicemente per trovare migliori opportunità all'estero. Quando si avvicinano ai nostri confini nazionali, invece, siamo così influenzati da considerarli subito con sospetto e ritenerli un pericolo o una minaccia potenziali
Una bisca o scommessa può dirsi clandestina, cioè non alla luce del sole, una relazione affettiva può esserlo, ma mai una persona che esiste, che viene a stare tra noi, semmai può dirsi illegale, irregolare in relazione a leggi di una determinata nazione. Ma sarebbe più giusto dire “senza permesso di soggiorno”. Semmai la clandestinità potrebbe essere assunta come strumento di lotta contro il potere tiranno.
Bisogna proprio pregare: Cfr. Is 10,1-2 e Ger 7,6. L’ebreo Haim Baharier, studioso di ermeneutica biblica, ha messo in rilievo il fatto che il verbo pregare sia riflessivo, in ebraico “pregarsi”, e la preghiera sia in realtà un perpetuo scavare nella propria coscienza al fine di liberare spazio per l’altro, da Dio alle sue creature. Se le religioni avessero cura dell’evoluzione in senso spirituale dei propri fedeli, il benessere dell’altro sarebbe connaturato all’agire dell’uomo di fede, invece di costruire nuovi recinti indentitari, dove la propria identità è vista in opposizione a quella dell’altro.
Caritas in veritate (142).
Mentre noi parliamo, per la chiusura delle fabbriche e la perdita dei posti di lavoro, tanti uomini già regolari invece di essere inclusi tra i cassaintegrati vengono messi nei CIE in attesa di espulsione. Non importa se hanno famiglia e se i loro figli sono nati in Italia.
(Cfr. Rom. 2,11; 10,12; Gal. 2,6; 3,28; Ef. 6,9; 1Cor. 12,13; Col. 3,11). Faremo quanto è in nostro potere perché un numero sempre crescente di cittadini metta in atto pratiche di accoglienza, di solidarietà e anche di disobbedienza pubblica, perché nel tempo più breve possibile questa legge venga radicalmente cambiata?
Secondo la Bibbia la gloria di Dio risplende sul volto di ogni persona. La logica della Scrittura, dal Levitico 19,33-34 - “Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deuteronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, viene portata a compimento dalla Parola di Cristo “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35).
La parola altro – in ebraico acher – contiene la parola ach che significa fratello. Ma allora, l’altro non è qualcuno che mi si oppone, una persona che non riveste per me alcun interesse, di cui non me ne può importare nulla. L’altro è mio fratello, di cui tutto mi interessa, la vita, la fede religiosa, la sofferenza e il disagio, le speranze e le attese. Tutto. Ed egli non può che essermi caro perché abbiamo un solo Padre: il Signore che ha creato i cieli e la terra.
Dialogo è, soprattutto, confronto, interazione, capacità di ascoltare e di entrare nella visione dell'altro, disponibilità ad accoglierlo, senza semplicismi e superficialità e senza perdere la propria identità (cfr. Agostino Marchetto, "Religion, Migration and National Identity" in People on the Move, 109, pp. 29-35). Il dialogo poi non si riduce a cosa intellettuale, ma soprattutto deve coinvolgere la vita vissuta, e va espresso magari con un semplice gesto di rispetto, di saluto, di solidarietà, di fraternità. Il vero incontro, infatti, non avviene tra culture astrattamente considerate, ma tra persone concrete, che pure hanno la loro cultura e la loro religione: parte cioè dal vissuto delle persone stesse, dalla esperienza quotidiana in famiglia, sul lavoro, nella scuola.
Ma il Dio rivelatoci da Gesù è un Dio che non si allinea a nessun potere. Il Dio di Gesù continua a rimanere fuori le mura della città e fuori le mura del Tempio. È un Dio che continua a proclamare la buona notizia che il Suo Regno è arrivato, un regno di Pace, giustizia, uguaglianza, mettendo l’essere umano di fronte alla domanda da che parte stare. “Conservare la pericolosa memoria di Gesù di Nazareth” vuole dire prendere una posizione decisa a favore del Regno e dei suoi valori. Ma questa è una scelta difficile, una “Grazia a caro prezzo”, ed è il cammino di tutta una vita. Una scelta che non porta alla conservazione dei piccoli privilegi personali o istituzionali. Il Tempio e i suoi sacerdoti, infatti, non hanno scelto il Regno era troppo scomodo per l’immagine di Dio che si erano costruiti. Oggi sta forse succedendo la stessa cosa? Forse anche oggi scegliere il Regno vuole dire rompere equilibri comodi e funzionali, uscire dal piccolo cortile dei propri interessi personali o di gruppo, dall’autoreferenzialità che piano piano ci si costruisce. Optare per i poveri e la loro causa non è una scelta romantica. È ciò che Gesù il Cristo ci ha proposto come occasione di liberazione personale e comunitaria. Ci piacerebbe riconoscere una Chiesa che accoglie questo progetto di liberazione personale e comunitario e più che le sirene del potere.