L'ultima è la vicenda pugliese che vede coinvolto Raffaele Fitto. Ma è solo l'ultima. Elenchiamo le altre: il Laziogate e Storace, Vittorio Emanuele di Savoia e l'entourage di Fini, Sirchia e le forniture sanitarie, Parmalat, Cirio, Calciopoli, Ricucci-Rcs, Unipol-Bnl.
C’è praticamente mezza Italia sotto inchiesta, decine di rinvii a giudizio, arresti, avvisi di garanzia; le Procure lavorano con cocainomane vivacità ed efficienza svizzera: a Napoli, Potenza, Roma, Parma, Milano, Torino, Bari. A tutto campo: politica, calcio, imprese, sanità, prostituzione, finanza. Non c’è altra domanda: che caspita sta succedendo?
Non vogliamo dubitare della fondatezza delle inchieste, ma lascia sgomenti la riduzione di tutta la vita pubblica italiana a questione penale, come se la prospettiva giudiziaria fosse l’unica dalla quale guardare i fatti. Si ha l'impressione che non ci siano numerose indagini indipendenti, ma che l’Italia si stia avvitando in un’unica, gigantesca e tetragona, inchiesta penale. Che succede? Siamo un paese di farabutti? Oppure la magistratura sta vomitando inchieste sepolte sotto Berlusconi? Siamo in una fase di slancio etico o i giudici stanno mostrando i muscoli, chiedendo subdolamente di accoppare la riforma Castelli? È un messaggio alla politica o un modo per risolvere la dolorosa disoccupazione dei tanti laureati in giurisprudenza? Sembra la versione deforme e perversa di un reality show, in cui ci si sveglia curiosi di scoprire chi sarà il prossimo ‘nominato’
Delinquenti gli indagati o disonesti i giudici, l’Italia alla sbarra mette i brividi e non ne siamo orgogliosi