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La grande spedizione ateniese a Siracusa (415-413 a.C.)

Discussioni sul patrimonio storico/culturale di questa importante provincia ricca d'arte

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La grande spedizione ateniese a Siracusa (415-413 a.C.)

Messaggiodi acid il 06 lug 2008 18:22

BREVE VIDEO RICOSTRUZIONE ASSEDIO ATENIESE



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Mappa dell'assedio ateniese a Siracusa. Risultano visibili il doppio muro ateniese (5) e il contromuro difensivo siracusano (9)



Messina non permette l'approdo alla flotta nemica sulle coste messinesi che sbarcano invece a Catania dove fanno il campo base i 50.000 soldati raccolti dagli ateniesi.
Da Catania partono per accerchiare Siracusa costruendo un muro per chiudere tutte le vie di uscita dalla città.
I siracusani a loro volta costruiscono un altro muro per bloccare l'isolamento.
La guerra dei muri dura 2 anni.

Un ruolo di primo piano è svolto qui da un personaggio inquietante ed affascinante: Alcibiade, ardimentoso condottiero, spregiudicato nel mutare fronte quando l’invidia dei concittadini si fece pericolosa
Durante la guerra con Sparta, Atene vide una scarsa partecipazione da parte delle colonie greche della Magna Grecia, in gran parte doriche e quindi a lei ostili. Mentre però Siracusa parteggiava attivamente per Sparta, le città siciliote ostili ad Ortigia seguivano con una certa freddezza le vicende della madrepatria.
Il sogno di Alcibiade fu quello di riscaldarle alla causa ateniese mediante un intervento militare nell’isola, perfettamente sconosciuta quanto a geografia e costumi.

Atene, però, non era in condizione di armare un nuovo esercito: per la prima volta si ricorse a milizie mercenarie .
La mala parata si intuì da subito: Sparta minacciava di portare aiuti militari a Siracusa, Atene non riscuoteva successo.
Per limitare le perdite sarebbe stato consigliabile rinunciare al progetto, ma l’ambizione di Alcibiade fu più forte di ogni logica. Non solo restò, ma si portò per ogni città per chiedere aiuto, con la sola conseguenza pratica di avvertire Siracusa dell’attacco imminente.
Non solo: richiamato in patria per un processo di empietà, tradì e corse a Sparta a stimolare la popolazione ad inviare a Siracusa aiuti concreti.
Atene, che in fondo non era mai stata convinta della validità strategica di una guerra in Sicilia, fu costretta a combatterla, avendo come nemico proprio quell’Alcibiade che tanto aveva caldeggiato l’intervento contro Siracusa.

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Busto di Alcibiade


Arrivano i rinforzi dalla Grecia la flotta nemica si posiziona dentro il porto grande, sarà la loro trappola.
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Trireme Greca


Quando giunsero a supporto della città siciliana le truppe spartane guidate da Gilippo, Atene si trovò così accerchiata e trovò rifugio nella zona più mefitica e paludosa della zona.
Il risultato? Si scatenò una epidemia di febbri malariche che fiaccò l’esercito e Nicia stesso.
Una battaglia navale illude gli Ateniesi di avere vinto (poveri illusi...), i siracusani occupano gli approdi delle navi e la flotta nemica rimane senza riparo.
Adesso bisognava proprio ritirarsi; ma Nicia credette di arguire da un’eclissi di luna che ormai tutto era perduto e aspettò inerme che si compisse il destino; gli Spartani bloccarono via fiume i nemici e Siracusa collezionò 7000 prigionieri ateniesi da utilizzare nelle latomie.
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A ragione Tucidide accusa del fallimento la luna e un comandante un po’ troppo condizionato dalle divinazioni.
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L'attesa, la tentata fuga in mare, la fuga verso nord e poi verso sud dell'esercito in ritirata...
Inseguiti sino a Noto sono sconfitti definitivamente. Una disfatta totale, persa la flotta l'esercito e la cavalleria.
Atene è sgomenta quando la notizia arriva in città.


Racconta lo stesso Tucidite:

Durante la notte, Nicia e Demostene, tenuto conto delle condizioni pietose in cui si trovavano le truppe per la mancanza di vettovaglie e per il gran numero dei feriti a seguito dei ripetuti attacchi nemici, decisero di accendere fuochi quanti pi� fosse possibile e di battere in ritirata con l'esercito, non per la via che avevano deciso precedentemente, ma in senso contrario a quello dove c'era il blocco dei Siracusani, cio� verso il mare. La direzione generale di questa strada non portava le truppe a Catania, ma dalla parte opposta della Sicilia, verso Camarina e Gela e altre citt�, greche e barbare (i Greci per barbari intendevano tutti coloro che non appartenevano ad uno dei gruppi ellenici; n.d.A.). Accesi dunque molti fuochi, marciavano di notte. Ed ecco che fra le truppe si diffuse un grande panico, come suole accadere in genere agli eserciti, specialmente se numerosi, quando marciano di notte in terra ostile e col nemico alle costole. Le truppe di Nicia, in testa alla colonna, restavano salde e perci� si avvantaggiarono di molto, mentre quelle di Demostene, che costituivano il grosso, pi� della met� dell'esercito, s'erano sparpagliate e avanzavano in disordine. All'alba, tuttavia, giungono in vicinanza del mare, e imboccano la strada detta di Eloro, con l'intento di guadagnare il fiume Cacipari e quindi, lungo il fiume, di inoltrarsi nell'interno. La speranza era che qui venissero loro incontro i Siculi ai quali avevano fatto appello. Ma, giunti che furono al fiume, trovarono anche qui un presidio siracusano che stava chiudendo il guado con muri e palizzate. E tuttavia riuscirono a forza a passare il fiume e ripresero la marcia verso un altro fiume, l'Erineo. Questa era la direzione consigliata dalle guide.

Intanto i Siracusani e gli alleati, appena sul far del giorno si accorsero della scomparsa degli Ateniesi, accusarono in gran parte Gilippo di averli volontariamente lasciati partire. Datisi quindi ad un rapido inseguimento per la via che senza difficolt� capirono esser quella presa dagli Ateniesi, li raggiunsero all'ora del rancio e attaccarono subito le truppe della retroguardia di Demostene, che avanzavano in gran lentezza e disordine, per il panico della notte precedente. Piombarono subito loro addosso e attaccarono, mentre la cavalleria li circondava con facilit�, isolati com'erano dal grosso, riuscendoli a concentrare in un sol punto. Le truppe di Nicia si trovavano avanti, a cinquanta stadi, perch� egli avanzava pi� rapidamente, convinto com'era che la salvezza era riposta non nell'attendere deliberatamente il nemico e attaccar battaglia, ma nel ritirarsi con la maggior celerit� possibile e combattere solo se costretti. (...). Mentre queste truppe (prigioniere, di Demostene; n.d.A.) vengono subito dirette verso la citt�, Nicia e i suoi, nello stesso giorno giungono al fiume Erineo, lo varcano e pongono gli accampamenti in una posizione elevata.

I Siracusani li raggiunsero il giorno dopo, gli fecero sapere che Demostene si era arreso coi suoi e l'invitarono a fare lo stesso. Non lo credette Nicia e ottenne una tregua per mandare un cavaliere ad accertarsi di quanto gli era stato riferito. Tornato che fu, il cavaliere conferm� la resa, e quindi Nicia mand� araldi a Gilippo (comandate degli alleati spartani; n.d.A.) e ai Siracusani annunziando di esser pronto a concludere un accordo a nome degli Ateniesi, nei seguenti termini: risarcimento delle spese di guerra sostenute dai Siracusani e liberazione del suo esercito: fin quando non venisse consegnato il denaro, proponeva di dare in ostaggio cittadini ateniesi, uno per talento. I Siracusani e Gilippo non accettarono queste condizioni, ma, piombati addosso agli Ateniesi e accerchiatili da ogni parte, li tennero sotto il loro tiro fino a tarda ora. Anche queste truppe di Nicia si trovavano a corto di vettovaglie e mancavano del necessario. E tuttavia, spiato di notte un momento di calma, si accingevano a muoversi, quando i Siracusani, accortisi che riprendevano le armi, intonarono il peana (canto di guerra; n.d.A.). Visto che non erano passati inosservati, gli Ateniesi deposero di nuovo le armi, tranne circa trecento uomini che riuscirono a forzare i posti di guardia nemici e si avviarono dove poterono.

Sul far del giorno, Nicia riprese la marcia, mentre i Siracusani e gli alleati li premevano allo stesso modo da ogni parte, sempre con tiri di frecce e giavellotti. Gli Ateniesi cercavano di raggiungere a marce forzate il fiume Asinaro, sempre premuti dagli attacchi dei cavalieri, che sbucavano da ogni parte, e dal resto dell'esercito nemico: pensavano che, passato il fiume, avrebbero migliorato la loro situazione, stanchi com' erano e assetati. Giunti che furono al fiume, vi si buttarono dentro disordinatamente: ognuno cercava per conto suo di passare per primo, mentre i nemici, sempre presenti, rendevano ormai difficile la traversata. Costretti ad avanzare in massa cadevano gli uni sugli altri e si calpestavano a vicenda. Alcuni infilzandosi nei propri giavellotti o nelle altre armi, o perivano subito o, impacciati com'erano, venivano trascinati gi� dalla corrente. I Siracusani, appostati sulla riva opposta che era scoscesa, colpivano dall'alto gli Ateniesi, mentre in gran parte erano intenti a bere avidamente e si ostacolavano a vicenda, chiusi com'erano nel letto incassato del fiume" (...).

Tanto sangue, infine, per lavarci gli occhi dalle illusioni di ere felici vissute tra amori e bevute, canti e spettacoli teatrali. Dei tanti uomini spazzati via, umile � rimasto invece il lavoro, la roccia scolpita dalle loro dissolte mani, forgiando teatri e templi; che nei loro incavi ancora mostrano l'ombra delle dita umanissime
.



Siracusa diventa la dominatrice del Mediterraneo Occidentale.

http://www.filosofico.net/tucpeloponneso.htm
http://it.wikipedia.org
http://guide.dada.net/greco/
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