Si trascrive dal n.13 * - guide archeologiche La Terza - SICILIA - Siracusa e il suo territorio di F.Coarelli - M.Torelli.
Poco a est del ponte che unisce l’isola alla terraferma, nel largo XXV luglio, sono i resti imponenti del tempio di Apollo.
L’identificazione del culto è assicurata dall’iscrizione incisa su uno dei gradini, Sulla faccia verticale del gradino più alto del lato est, a sinistra, è incisa un’iscrizione arcaica, lunga circa 8 m, certamente contemporanea alla costruzione (la scala centrale di accesso ne tenne conto, ed è quindi posteriore). Il testo, che presenta alcune difficoltà, si può tradurre così: « Kleomede fece per Apollo (il tempio), il figlio di Knidieidas, e alzò i colonnati, opere belle ».
ma nonostante questo l’edificio è stato attribuito anche ad Artemide, in base a un passo di Cicerone già citato in prece¬denza, secondo il quale tra i molti templi che esistevano nell’isola i più notevoli erano quelli di Diana e di Minerva. Tale notizia è stata meccanicamente riferita alla situazione attuale di Ortigia, dove esistono in effetti i resti di due templi, il nostro e quello incluso nella Cattedrale, identificato con il tempio di Atena. é però evidente che Cicerone può benissimo riferirsi, quando parla del tempio di Diana, a un edificio scomparso. Sulla questione tor¬neremo a proposito del tempio di Atena: in ogni caso, non v' è motivo di conservare, per il nostro tempio, l’attribuzione a Arte¬mide, e neppure è accettabile la soluzione di compromesso che collega l’edificio ad ambedue i culti, sulla base di una presunta affinità tra di essi. È nota l’importanza del culto di Apollo a Co¬rinto, madrepatria di Siracusa (dove si conserva un tempio del dio assai simile a quello di Siracusa). Il tempio, incluso entro un quartiere medievale, è stato liberato definitivamente tra il 1933 e il 1943.
Sono conservate in piedi due colonne del lato sud, con un tratto dell’epistilio, e i tronconi delle altre colonne su questo stesso lato e sulla fronte est. Resta anche un tratto del muro della cella a sud. Il tratto occidentale del basamento è di restauro.
L’edificio, molto allungato (m 58,10 x 24,50), come del resto tutti i templi arcaici di Sicilia, è costruito in blocchi di arenaria, e poggia su poderose costruzioni in opera quadrata, profonde 2,30 m.
La peristasi comprendeva 6 colonne sui lati brevi e 17 sui lati lunghi, con enfatizzazione appunto della dimensione lon¬gitudinale. Le grandiose colonne monolitiche (a volte completate con tasselli di riporto) misurano, con il capitello, 7,98 m d’altezza (i soli fusti 6,62) per un diametro di 2,02 m (colonne di facciata) o 1,85 (colonne dei fianchi): ognuna di esse pesava circa 40 ton-nellate.
Gli intercolumni sono strettissimi (il tempio quindi si defi¬nisce tecnicamente « picnostilo ») e variano considerevolmente, dai 3,33 m dei fianchi ai 4,15 dell’intercolumnio centrale della facciata, (gli altri della facciata sono tutti diversi tra loro). Sui lati lo spa¬zio tra le colonne è addirittura inferiore al diametro dei fusti. Ne risulta l’impossibilità di realizzare un rapporto di euritmia con il fregio: i triglifi, cioè, non cadevano in corrispondenza dei dia¬metri delle colonne. Come sempre nei templi più arcaici, l’archi¬trave era altissimo: 2,15 m, oltre un quarto dell’altezza delle colonne. L’architrave è internamente incavato, e in origine era completato in legno: altra caratteristica di grande arcaismo.
La parte alta del tempio era decorata da splendidi rivestimenti di terracotta,
Frammenti conservati presso il Museo Regionale P.Orsi
e di terracotta era anche la decorazione centrale del frontone, un Gorgoneion alto 1,70 m, e probabilmente gli acro¬teri laterali (forse delle sfingi).
In pietra era invece l’acroterio centrale, una figura di cavaliere di cui si sono conservati alcuni frammenti.
Ricostruzione di un gorgoneion e di un cavaliere
-frammenti conservati presso il Museo Regionale P.Orsi
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Il complesso centrale del tempio (sekòs), lungo 37,20 e largo 11,60 m, era preceduto da un secondo colonnato, che sottolineava enfaticamente la facciata principale: come in molti templi arcaici della Sicilia, infatti, l’aspetto della frontalità è molto accentuato, e corrisponde all’assenza dell’opistodomo, simmetrico al pronao nei templi greci, che è sostituito da un àdyton aperto verso la cella. Questa era anch’essa molto allungata (24,60x 11,60 m), e suddi-visa in tre navate da due file di 7 colonne su due piani, delle quali sono stati scoperti pochi resti.
Sulla faccia verticale del gradino più alto del lato est, a sinistra, è incisa un’iscrizione arcaica, lunga circa 8 m, certamente contemporanea alla costruzione (la scala centrale di accesso ne tenne conto, ed è quindi posteriore). Il testo, che presenta alcune difficoltà, si può tradurre così: « Kleomede fece per Apollo (il tempio), il figlio di Knidieidas, e alzò i colon¬nati, opere belle ». Si tratta di uno dei rari casi in cui si conosca il nome dell’architetto, il quale sottolinea l’importanza del colon¬nato in pietra, opera per quell’ epoca eccezionale. Il tempio, infatti, è certamente il più antico periptero dorico della Sicilia, e uno dei più antichi conservati in assoluto, ispirato, con varianti locali, all’architettura di Corinto (assai vicino è appunto il tempio di Apollo di Corinto).
La cronologia può essere fissata al primo quarto del VI sec. a. C.
Sui lati sud e ovest sono conservati resti del muretto che deli¬mitava il témenos (area sacra) del santuario. Inoltre, a ovest, sono visibili i resti di una torre e di un tratto di mura, probabilmente bizantine, che si addossarono al tempio.
Nelle immediate vicinanze del tempio di Apollo doveva essere un santuario di Esculapio: nel 1901 furono scoperte infatti in piazza Pancali due statue di età romana, una delle quali rappre¬senta Igea, e nell’apertura di via del Littorio fu recuperata un’iscri¬zione greca che ricorda un medico, certamente proveniente dallo stesso santuario, la cui esistenza a Siracusa è menzionata da Cicerone¬
(Verrine, Il 4, 127) e da Ateneo (XV 693 h; cfr. Polieno, Stra¬tegemata V 2, 19), che lo ricorda come esistente al tempo di Dio¬nigi il Vecchio. Cicerone cita, in particolare, una statua del tempio di Esculapio rubata da Verre: si trattava di un simulacro di Paiàn, divinità della medicina in seguito identificata con Apollo, di cui il nome Paiàn divenne un epiteto (ma Paiàn è anche un epiteto di Asclepio). Sembra evidente uno stretto rapporto, non solo topo¬grafico, ma anche cultuale, tra l’arcaico santuario di Apollo (dio in possesso di qualità mediche) e quello adiacente di Esculapio.
Il complesso sacrale più importante dell’isola è però quello che sorgeva proprio al centro di Ortigia. nel punto più elevato, dove il Duomo ne ha conservato in parte i resti. È da sempre visibile, inglobato nelle strutture della chiesa, il grande tempio dorico, iden¬tificato con l’Athenaion. Scavi effettuati tra l’inizio del secolo e anni recenti nei paraggi del Duomo, del retrostante Arcivescovado, e sotto il vicino Palazzo Vermexio, sede del Municipio, rendono oggi possibile una conoscenza sufficientemente dettagliata dell’area sacra e delle sue fasi. Fin dall’inizio dell’insediamento greco una parte di quest’ area sembra esser stata riservata a scopi di culto.
Il primo edificio monumentale, un tempio arcaico di stile do¬rico, databile nei decenni centrali del VI sec. a. C., occupò la stessa area del periptero classico ancora conservato. Se ne raccolsero alcune parti negli scavi effettuati tra il 1912 e il 1917: elementi architettonici, terrecotte, e una parte dell’altare. Poco dopo l’inizio del V secolo, come si deduce dai dati stratigrafici, quest’ edificio fu demolito e sostituito con il tempio attuale, che si può attribuire con certezza al periodo dei Dinomenidi, e più probabilmente al primo di essi, Gelone. Molte caratteristiche architettoniche e deco¬rative accomunano l’edificio al tempio della Vittoria di Himera. È dunque probabile che i due templi siano stati costruiti contem¬poraneamente, e per la stessa occasione, da identificare con la stessa vittoria di Imera sui Cartaginesi, che tanta gloria e tante ricchezze procurò a Siracusa
Scrive Giorgio Gullini sull’Apollonion di Siracusa nel volume:
L’ARCHITETTURA TEMPLARE GRECA IN SICILIA DAL PRIMO ARCAISMO ALLA FINE DEL V SECOLO
Credo di aver dimostrato come questo tem¬pio debba datarsi intorno al 600 a. C. e come esso ci offra il più antico esempio conservatoci di una peristasi lapidea con colonne monoli¬tiche — il che spiega l’esaltazione delle « belle opere del colonnato » incisa sul crepidoma del lato orientale. L’ascendenza ionica dell’ar¬chitetto Kleomenes, assicurataci dal patronimico, si esprime nella variazione degli interassi della fronte (fig. 5), tipicamente ionica. Nello stesso tempo, però, è evidente una elaborazione propria della Grecia continentale—e più ancora, in modo particolare, dell’area siceliota — per ciò che concerne la soluzione della copertura basata sulla funzione portante della doppia fila di colonne all’interno della cella, colonne che pen¬siamo fossero lignee.
Ilcarattere monumentale è affidato alla peri-stasi lapidea, primo esempio in Occidente se non in assoluto nell’architettura greca, che rivela non solo una scelta espressiva, ma anche un’avan¬zata capacità organizzativa e tecnologica. Basta pensare al complesso e impegnativo lavoro, ad esempio, di cavare, trasportare e rizzare colonne monolitiche nonché a quello di mettere in opera i blocchi con sezione ad L dell’architrave. Si comprende come Epiklés potè vantarsi di aver compiuto una simile impresa.
Nel contempo l’orditura lignea a sostegno del tetto comprendeva ancora il fregio cui era affidata la fondamentale funzione di cor¬dolo di collegamento per raccogliere ed annul¬lare la spinta dei puntoni gravati dal notevole peso delle tegole. Per calcolo ed esecuzione un lavoro eccezionale di « tectones », indubbiamente resi esperti dalla consuetudine a lavori di car¬penteria navale. Non dimentichiamo, inoltre, la tecnica del rivestimento fittile che ribalta, sulle parti verticali ancora lignee, L' impermeabilizza¬zione del tetto in cotto traendone eccezionali nuovi risultati sul piano decorativo e della valu¬tazione finale dell’edificio. Nasce così una delle forme più caratteristi¬camente siceliote tra le terrecotte architettoniche, quella della cassetta la cui invenzione siracusana,
Non mi sembra si possa supporre che la lavora¬zione ad L dei blocchi dell’architrave non sia originaria. vero che solo un blocco è superstite, ma le caratte¬ristiche del taglio, e soprattutto la presenza del raccordo nell’angolo interno, escludono che possa trattarsi del risultato di una rilavorazione, connessa con i vani reim¬pieghi delle strutture del tempio negli edifici che in diverse epoche vi si sono inseriti. Negli anni intorno al 600, mi pare pressoché certa proprio sulla base delle terrecotte del¬l’ Apollonion e di quelle dell’Athenaion di Ortygia che precedono, sia pure di poco, quelle di Gela 23 (gruppo A e C della classifi¬cazione di Bernabò Brea). Queste ultime ci danno, con la serie di almeno otto fregi, una esemplificazione che si distribuisce nell’arco di oltre un secolo e che rappresenta un aspetto, non certo secondario, dell’edificio templare sice¬liota, anzi quello che lo caratterizza in modo inconfondibile.
I rivestimenti fittili hanno costituito, nella ricerca archeologica, per la loro relativa abbon¬danza e per la loro colorita vivacità, un impor¬tante surrogato di strutture architettoniche, sog¬gette più facilmente alla distruzione mediante il riutilizzo della pietra e quindi assai poco leggibili. L’impostazione analogica e classifica¬toria, tradizionale in archeologia, ha portato alla costituzione di tipologie e di schemi d’inquadra¬mento in cui le terrecotte architettoniche entrano allo stesso modo di altri fittili, come i prodotti ceramici, poiché si prescinde dalla loro funzio¬nalità e dal riferimento all’edificio, in particolare al tetto, che rivestivano e decoravano. Non vogliamo qui pertanto soffermarci su questo aspetto dell’architettura templare se non per sottolineare la funzionalità e l’originalità d’in¬terpretazione.
Essa riflette, nelle notevoli dimensioni dei pezzi degli edifici maggiori, una tecnica raffi¬nata e la presenza abbastanza diffusa, almeno nelle maggiori colonie, di un avanzato artigia¬nato figulino in condizione di accogliere l’in-dubbia invenzione siracusana e di applicarla con soluzioni talvolta originali. Oltre a Gela è il caso delle terrecotte arcaiche di Agrigento e di quelle di Selinunte.
In una sezione del Museo Regionale P. Orsi di Siracusa è esposto un plastico in resina chiamato tempio di Apollo.
Le immagini che qui lo ilustrano non hanno bisogno di commenti.
LA SCULTURA
Non è un plastico e non voleva esserlo sebbene realizzata in scala 1\50 circa tenendo conto della documentazione in premessa.
È un tentativo, a scopo didattico, di dare una visione d’insieme, ipotizzando una possibile soluzione tecnica costruttiva, del più antico tempio dorico della Sicilia e contribuire alla sua conoscenza.
Il tempio mostra la sua natura sperimentale per la genialità di alcune soluzioni tecniche innovative, (l'architrave ad L destinato a reggere e compattare le travi di tenuta verticali, a loro volta supporti del tetto, insieme alle colonne interne e alle mura della cella.
La tradizionale suddivisione delle colonne, complessivamente 78, fusto, collarino, echino e abaco è evidenziata da diversa colorazione così come è evidenziato il differente diametro delle colonne interne di m. 1,30, di quelle laterali di m.1,85 e di quelle frontali di m. 2,02.
Le mura della cella così come la copertura del tetto sono lasciate incomplete per consentire la visione del colonnato interno e della struttura portante.
Il color nocciola, Bahja, è stato utilizzato per le strutture in legno ( il tavolato di copertura e le capriate, sicuramente formate da doppie travi, non in scala per ragioni tecniche così come, i conci delle mura, il gorgoneion e le decorazioni in ceramica. L' ipotesi del Prof. G. Cultrera sulla doppia fila di colonne interne di pietra su due piani, confermata dalle soluzioni adottate per il tempio di Paestum, della stessa epoca circa del nostro, è sicuramente più credibile e logica di quella evidenziata nel plastico esposto al Museo P.Orsi perchè la notevole altezza, oltre 12 metri, e l'enorme peso delle tegole (circa 4 Kg. cadauno), avrebbero provocato una fortissima flessione di travi anche di notevole spessore e, comunque, difficilmente reperibili a quel tempo.
Per adesso credo che bastino. Ciao a Tutti Antonio