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Perchè si dice così

Angolo della letteratura dedicato ai "divoratori" di libri, amanti di poesie, composizioni e altre forme d'arte e cultura

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Perchè si dice così

Messaggiodi DottPeyes il 06 gen 2007 01:09

Ho trovato alcune spiegazioni e/o storielle su diversi modi di dire:
Acqua in bocca
Si narra che una femminuccia, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, pregasse il suo confessore di darle un rimedio contro quel peccato. Il confessore insinuava conforti e preghiere, ma inutilmente. Un bel giorno diede alla donna una boccetta d'acqua del pozzo raccomandandole di tenerla sempre con sé e quando sentiva la voglia di 'sparlare' ne mettesse alcune gocce in bocca e ve le tenesse ben chiuse finché non fosse passata la tentazione. La donna così fece, e negli atti ripetuti trovò tanto vantaggio, che alla fine si liberò dal vizio dominante, e come fosse femmina di poco levatura tenne poi quell'acqua per miracolosa.
Avere la coda di paglia
Un'antica favola racconta che una giovane volpe cadde disgraziatamente in una tagliola; riuscì a fuggire ma gran parte della coda rimase nella tagliola. Si sa che la bellezza delle volpi è tutta nella coda, e la poveretta si vergognava di farsi vedere con quel brutto mozzicone. Gli animali che la conoscevano ebbero pietà e le costruirono una coda di paglia. Tutti mantennero il segreto tranne un galletto che disse la cosa in confidenza a qualcuno e, di confidenza in confidenza, la cosa fu saputa dai padroni dei pollai, i quali accesero un po' di fuoco davanti ad ogni stia. La volpe, per paura di bruciarsi la coda, evitò di avvicinarsi alle stie. Si dice che uno ha la coda di paglia quando ha commesso qualche birbonata ed ha paura di essere scoperto
Campa cavallo
Si racconta che un povero diavolo portava a mano un cavallo vecchio, stanco, sfinito, per una strada sassosa dove si vedeva appena, di quando in quando, un misero filuccio d'erba. Il cavallo stava per cadere, sopraffatto dalla fame e il padrone cercava d'incoraggiarlo dicendogli: "Non morire, cavallo mio, tira avanti ancora per un po'; campa finché crescerà l'erba e potrai sfamarti".
Hai fatto 30,fai pure 31
Papa Leone X, il 1º luglio 1517 creò trenta nuovi cardinali; poi gli parve che un altro prelato fosse pure degno di quell'onore e nomino cardinale anche lui. A coloro che si meravigliarono del fatto che il papa, che aveva deciso di fare trenta cardinali, ne avesse poi fatto uno di più, Leone X rispose "Chi ha fatto trenta può fare trentuno".
Essere al verde
Significa "essere a corto di denaro". Per molto tempo si è usato appaltare i servizi pubblici per mezzo di un'asta. Il banditore accendeva una candela la cui base era tinta di verde. Finché la candela non era arrivata al verde, era lecito fare offerte; dopo, non più.
Secondo altra interpretazione, l'espressione si riferisce semplicemente al fatto che le candele avevano la base tinta di verde.
Il caprio espiatorio
Gli Ebrei avevano anticamente una strana usanza. Mosè aveva ordinato che ogni anno si celebrasse l'espiazione dei peccati. Nel giorno designato, il sommo sacerdote prendeva due capri: il primo veniva sgozzato e il sacerdote lo caricava, simbolicamente, di tutti i peccati suoi e del popolo; l'altro veniva mandato via perché si disperdesse nel deserto e non tornasse mai più. Il primo si chiamava capro espiatorio, il secondo capro emissario.; l
Lupus in fabula
Anche se adesso questo detto ha assunto una valenza un po' diversa, originariamente stava a significare l'arrivo di una persona che ci impedisce di parlare su un certo argomento. Questo perché nelle antiche favole si parlava sempre del lupo come di animale pericolosissimo; si diceva che la sua presenza togliesse la parola agli uomini, facendoli ammutolire dallo spavento.
Piantare in asso
L'espressione non è altro che la deformazione popolare della locuzione "piantare (o lasciare) in Nasso", un'isola greca dove - secondo la mitologia - Teseo, il "giustiziere" del Minotauro, avrebbe abbandonato ("piantato") la sposa Arianna dopo che costei l'aveva aiutato a condurre in porto l'impresa con il suo celeberrimo "filo".
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Messaggiodi Siracusana il 06 gen 2007 03:40

perchè si dice cosi?
A caval donato non si guarda in bocca
Il proverbio significa che dei regali dobbiamo sempre essere grati, anche se di scarso valore; e si dice così perché l'età di un cavallo si giudica guardando lo stato della sua dentatura, già 'lo stato' e non il numero dei denti. Non lo sapeva quel ragazzotto di campagna che andò al mercato ad acquistare un cavallo, e poiché il padre gli aveva raccomandato di osservare bene i denti dell'animale, si indignò nei confronti del mercante dicendogli: "Mi volete imbrogliare! Vendermi un cavallo di quarant'anni!". Tanti infatti sono i denti del cavallo adulto... e il ragazzotto li aveva contati...

Ciao
In passato esisteva il saluto deferente schiavo (per dire: 'servo suo'); poi, specialmente nella regione veneta, si abbreviò la parola in s-cio. In seguito si è trasformata in ciao. Ma il saluto, che prima era ossequioso, è diventato, invece, il più confidenziale. Fino a circa un secolo fa, la parola era usata solo nell'Italia settentrionale.
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Messaggiodi Siracusana il 09 giu 2007 17:46

Prendere una cantonata : Se chi guida un carro fa una curva troppo stretta, urta col mozzo della ruota contro l'angolo di una strada e può accadere un guaio. Perciò, prendere una cantonata in senso figurato significa commettere un errore, prendere un abbaglio.

Per filo e per segno : Un tempo, gli imbianchini sul muro e i segantini sul legno usavano 'batter la corda', ossia tenevano sul muro o sul legno un filo intinto di una polvere colorata e poi lo lasciavano andare di colpo, in modo che ne rimanesse l'impronta. Tale impronta o segno indicava la linea da seguire nell'imbiancare o nel segare. Da lì è derivato l'uso di dire per filo e per segno per intendere 'ordinatamente, con sicura esattezza'

Mangiare la foglia : In origine l'espressione era "aver mangiato la foglia" con il significato di 'capire al volo'; intendere prontamente il senso del discorso; capire subito le intenzioni altrui. Fra le tante spiegazioni, quella che dà Ugo Enrico Paoli sembra la più convincente. Egli considera la foglia come un collettivo: più foglie che si fanno mangiare agli animali vaccini. Questi si dividono in due gruppi: i lattanti che prendono il nutrimento dalla poppa materna e le bestie adulte che hanno già cominciato a mangiare la ... foglia. Secondo il Paoli, quindi, il senso pratico del mondo contadino ha associato alla locuzione "aver mangiato la foglia" il concetto di saggezza.
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Re: Perchè si dice così

Messaggiodi sirtor il 17 ago 2009 17:14

Alla romana

Deriverebbe dall'antica usanza delle trattorie romane che per praticità e rapidità facevano pagare il conto ai pellegrini dividendo il costo delle pietanze portate all'intera tavolata. Tuttavia alcuni intendono che ogni commensale pagherà solo quanto effettivamente consumato (senza per questo dover necessariamente richiedere al ristoratore tante ricevute quante sono le persone paganti o fare i conti esatti al centesimo di Euro).


Bastian contrario

Sull'origine del modo di dire esistono diverse teorie.
Nel suo Dizionario moderno (1905) Alfredo Panzini ricorda la leggenda di un Bastiano Contrari "malfattore e morto impiccato, il quale solamente in virtù del cognome diede origine al motto". Si tratterebbe dunque di un caso di antonomasia.
A Castelvecchio di Rocca Barbena (SV) si ricorda un mercenario chiamato Bastian Contrario, ivi morto in battaglia.
A Torino il Bastian Contrario per antonomasia è considerato il Conte di San Sebastiano, che nella battaglia dell'Assietta (1747) fu il solo a disobbedire all'ordine di ripiegare sulla seconda linea. Il gesto del Conte e dei pochi fedeli granatieri da lui comandati determinò l'esito favorevole di tutta la battaglia contro l'esercito franco-ispanico.


E' un'altro paio di maniche

Sin dall'Ottocento, l'espressione ricorre nell'italiano colloquiale e letterario col significato di "tutta un'altra cosa, non paragonabile con la precedente", spesso con l'intenzione di indicare che uno dei due termini di paragone sia "di gran lunga migliore" o al contrario "di gran lunga peggiore". Il detto è ancora molto usato, benché alla lettera risulti praticamente incomprensibile a chi non conosca l'usanza medievale e rinascimentale di scambiarsi un paio di maniche tra fidanzati (a quel tempo gli abiti erano corredati di maniche di ricambio). Ma nemmeno allora l'amore durava per sempre, e così a un "paio di maniche" spesso ne subentrava un altro. Si può ricondurre, ancora più semplicemente, l'espressione idiomatica, alla suddetta usanza in quanto lo stesso vestito poteva assumere sembianze completamente diverse a seconda delle maniche che vi venivano abbinate.


Piangere lacrime di coccodrillo

E' un modo di dire di uso comune in italiano, che ha corrispettivi in numerose altre lingue. Si riferisce a chi finge di essere pentito di una cattiveria commessa.
Il detto trae origine dal mito secondo cui i coccodrilli versano lacrime di pentimento dopo aver ucciso le loro prede o dopo averle divorate. Esistono diverse varianti di questo mito; spesso la credenza è riferita in modo specifico al caso di coccodrilli che divorano prede umane, ma in alcuni casi viene anche riportato che a piangere sarebbe la femmina di coccodrillo che ha appena divorato i propri piccoli.
Questo mito risale almeno al XIII secolo, e fu diffuso nella cultura popolare europea, fra l'altro, dal libro Viaggi di Giovanni di Mandeville, del XIV secolo.
Il mito, la cui origine non è nota, viene spesso messo in relazione con il fatto che i coccodrilli effettivamente lacrimano, talvolta anche in modo vistoso, per motivi fisiologici. Tali lacrime hanno lo scopo di ripulire il bulbo oculare e lubrificarlo in modo da facilitare il movimento della seconda palpebra che lo protegge in immersione. La lacrimazione aumenta se il coccodrillo rimane a lungo fuori dall'acqua.


Ogni morte di papa

L'espressione ogni morte di papa è una polirematica che denota infrequenza di un evento.Usato come perbole, questo modo di dire si riferisce al fatto che la morte del papa (o di un alto prelato) è evento eccezionale che si verifica, di norma, con cadenze temporali dilatate.
L'espressione "ogni morte di Papa" indica una frequenza rarissima e a sua volta "ogni morte di vescovo" indica una frequenza rara.


Pecora nera

L'espressione polirematica pecora nera si ritrova in diverse lingue ad indicare un elemento che si distingue in maniera negativa dal resto dei membri di un gruppo.
Presso gli allevatori di bestiame la lana bianca è considerata particolarmente pregevole, perché facile da colorare. Per non comprometterne la qualità, le pecore nere vengono generalmente trattate in maniera separata oppure escluse dalla tosatura. Negli allevamenti incentrati sulla produzione della lana, le pecore nere sono particolarmente mal accette; all'interno di un gregge composto per la maggioranza da capi di colore bianco, le pecore nere saltano subito all'occhio per via del contrasto: in un reale gregge di pecore bianche non è raro vedere un'unica pecora di colore nero. A questi motivi si aggiunge probabilmente una componente superstiziosa associata al colore nero (sfortuna nera).
Per associazione d'idee si definisce pecora nera della famiglia o di un gruppo di conoscenti un individuo che ha imboccato una cattiva strada o che non soddisfa le aspettative degli altri componenti.


Piove sul bagnato

Questa espressione trae origine da Giovanni Pascoli che nelle sue Prose scrive "Piove sul bagnato : lagrime su sangue, sangue su lagrime".
L'espressione in seguito ha avuto molto successo ed è rimasta nella lingua comune ad indicare che le disgrazie spesso non vengono mai sole o così appare a chi soffre e crede di essere tormentato dalla sfortuna.


Rendere pan per focaccia

L'espressione è riferita a chi ricambia con eguale o maggiore asprezza una offesa, un torto o un danno ricevuti. Il proverbio è certamente antichissimo e se ne trova la prima traccia scritta nell'ottava novella dell'ottavo giorno del Decamerone, laddove il Boccaccio fa dire, dalla moglie di Zeppa alla moglie di Spinelloccio - "Madonna, voi m' avete renduto pan per focaccia" (Nov. 78^ - Dec. 13^); episodio anche riportato nel film "Decameron N. 2 - Le altre novelle di Boccaccio", del 1972.


Uovo di Colombo

L'uovo di Colombo è un aneddoto popolare diffuso come modo di dire in diverse lingue per designare una soluzione insospettatamente semplice ad un problema apparentemente impossibile.
L'origine della polirematica è riconducibile ad un aneddoto popolare - sicuramente falso - che ha per protagonista il navigatore genovese Cristoforo Colombo.
Dopo il suo ritorno dall'America nel 1493, Colombo fu invitato ad una cena in suo onore dal Cardinale Mendoza. Qui alcuni gentiluomini spagnoli cercarono di sminuire la sua impresa dicendo che la scoperta del Nuovo Mondo non fosse stata poi così difficile, e che chiunque avrebbe potuto riuscirci. Udito questo, Colombo sfidò i commensali ad un'impresa altrettanto facile: far stare un uovo dritto sul tavolo. Vennero fatti numerosi tentativi, ma nessuno riuscì a realizzare quanto richiesto. Convinti finalmente che si trattasse di un problema insolubile, i presenti pregarono Colombo stesso di cimentarsi nell'impresa. Questi si limitò a praticare una lieve ammaccatura all'estremità dell'uovo, picchiandolo leggermente contro il tavolo dalla parte più larga, e l'uovo rimase dritto. Quando gli astanti protestarono dicendo che lo stesso avrebbero potuto fare anche loro, Colombo rispose: «La differenza, signori miei, è che voi avreste potuto farlo, io invece l'ho fatto!».


Una vittoria di Pirro o vittoria pirrica

E' una battaglia vinta a un prezzo troppo alto per il vincitore. L'espressione si riferisce a re Pirro dell'Epiro, che sconfisse i Romani a Heraclea e Ascoli Satriano rispettivamente nel 280 a.C. e nel 279 a.C., ma sostenendo perdite così alte da essere in ultima analisi incolmabili, e condannando il proprio esercito a perdere la guerra pirrica. Dopo la battaglia di Ascoli Satriano, Plutarco narra che:
« Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che gli esternava la gioia per la vittoria che "un'altra vittoria così e si sarebbe rovinato". Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali comandanti; non c'erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati italici non collaboravano. Dall'altra parte, come una fontana che scorresse fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per continuare la guerra. »
(Plutarco)
Secondo il resoconto dello storico Paolo Orosio (IV.1, 15) la frase (che sarebbe stata pronunciata dopo la battaglia di Eraclea) suonava "Un'altra vittoria come questa e me ne torno in Epiro senza più nemmeno un soldato"


Zona Cesarini

E' un'espressione con cui si indica la fase finale di una partita di calcio e, più in generale, di un qualsiasi evento sportivo. Per metonimia tale espressione è passata anche a indicare un evento del viver comune che si concretizzi in extremis,
(esempio: «Sono riuscito a ottenere la firma di quel contratto proprio in zona Cesarini»).
Essa prende il nome da Renato Cesarini, calciatore oriundo argentino nato a Senigallia (Ancona) l'11 aprile del 1906, attivo negli anni trenta come mezzala della Juventus che aveva avuto la ventura di realizzare diversi goal – sebbene non tutti decisivi ai fini del risultato finale – nei minuti finali di partita, contro avversari anche di rango come Napoli, Torino, Pro Vercelli, Lazio e Brescia. Uno in particolare, però, sarebbe quello che avrebbe permesso al suo nome di diventare un modo di dire, ed è quello segnato al 90' contro l'Ungheria allo stadio "Filadelfia" di Torino, il 13 dicembre 1931. Il goal risolse una partita particolarmente tesa ed agonisticamente accesa, in cui gli Azzurri erano andati due volte in vantaggio e altrettante volte erano stati raggiunti sul pareggio dai Magiari, fino alla vittoria per 3-2 proprio con il goal di Cesarini. La settimana successiva, durante un incontro di campionato, il giornalista sportivo Eugenio Danese, commentando un goal segnato all'89', parlò di “caso Cesarini” riferendosi appunto ai minuti finali della partita. La parola "zona" fu presa probabilmente in prestito dal gioco del bridge, in cui essa sta appunto ad indicare la fase finale e determinante della partita.
Sebbene al giorno d'oggi, per via dell'evoluzione del gioco in senso più aggressivo e agonistico, le marcature nei minuti finali di gara non siano più una novità, l’espressione "zona Cesarini" è rimasta viva, nonostante vi siano calciatori che nei minuti finali di gara abbiano realizzato più goal dell’oriundo argentino.


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