di antoniorandazzo il 30 giu 2008 17:43
Ecco a Voi alcuni miei ricordi giovanili:
E' vero! Tornare nei luoghi dell'infanzia è emozionante.
Quanta tristezza nel rivedere i palazzi diroccati e cadenti, le vie deserte senza lo sciamare dei ragazzini e del forse poco coreografico scenario dei panni stesi al sole nei davanzali e nei muri delle case.
Quanti ricordi. Giunto in via Gargallo che aveva visto scorrere i miei primi vent'anni di vita, un brivido alla schiena ed un nodo sale alla gola.
Mi rivedo vestito di un pagliaccetto a strisce bianche e rosse accompagnato per mano da mia madre verso l'unica grande piazza di quel tempo dove un autobus attendeva noi mocciosi per condurci alla così detta " colonia estiva", nel 1946- 1947.
Mi ritrovo a cantare strofe di canzoni pro o contro formazioni politiche di quel tempo di referendum monarchia repubblica insieme alle ragazze addette alla nostra vigilanza.
Appartenevo ad una famiglia d'operai, così come gli altri ragazzini e quindi non conoscevo i figli di "papà".
Allora le categorie erano ben distinte e non erano ammesse fusioni. Ognuno doveva stare al suo posto.
E' sconvolgente il nostro cervello, capace di rivedere come in un film tutta una vita. In pochi attimi rivedo i volti conosciuti di grandi e piccoli personaggi del passato, i fatti e le tante dicerie di allora.
Erano altri tempi.
Rivivo episodi e ricordo valori che furono e non sono più di questo mondo.
Mia madre che in un braciere poggiato davanti alla porta accendeva il fuoco con
qualche pezzo di legno trovato, un poco di carbone e malli di mandorle già bruciate, comprati a pochi soldi dal fornaio nostro vicino.
Accendeva il fuoco per arrostire peperoni o altro, mai carne, introvabile e incomprabile a quei tempi. Al termine chiamava le signore vicine di casa "ranna Nedda" , "ranna Pippa","ranna ciuzza" o qualche altra se volevano usare il fuoco, sciocchezze, cose da poveretti che conoscono i sacrifici che si devono fare per campare.
Solo chi ebbe la ventura di viverli, può sapere cosa significa.
Per S. Antonio il pane da dividere a tutti i vicini.
Il pane dei morti per il due Novembre.
La vicina che confezionava le colombe a Pasqua dividendole a tutti i bambini. Il " maccu per S. Giuseppe e la "cuccia" per S. Lucia, " u zuccaru", al mattino presto per la festa della "svelata", nella piazza dell'Immacolata.
Il suono delle "tracculi" durante la settimana Santa nell'attesa dello sciogliersi delle campane a Gloria da tutte le chiese della città.Il giorno di tutti i Santi, aspettando i regali e i piatti pieni di leccornie, fichi d'india, biscotti alla cioccolata, allo zucchero cotto, mostarda, interamente fatti in casa.
I primi pantaloni alla " zuava" e, poi, quelli lunghi con la giacca a quadri di vario colore, i vestiti della festa e per la Domenica.
Mi sentirei di dire, cose dell'altro mondo. Sembra che non siano mai esistite.
Si può affermare che quella strada era rappresentativa di tutte le realtà del tempo a Siracusa. Io mi consideravo un privilegiato ad abitarci.
Era sempre pulita, abitata anche da tante famiglie d'origine umile, ma tutte oneste e dedite al lavoro.
Abitavano li: il tenente comandate dei vigili urbani, nobili decaduti all'interno del cortile di Palazzo Minniti, presidi delle scuole, professori e maestre, cantine ed osti, un tipografo con propria tipografia, pittori, bravi artisti, tutta una famiglia di "pupari", falegnami ed ebanisti con attrezzate botteghe, la segheria per il tagliodel legname per poi poterlo lavorare nelle botteghe.
Non vi erano macchine utensili private, come adesso con il "fai da te". Vi erano calzolai e sarti e nelle loro botteghe, il pomeriggio, concerti di fisarmonica mandolino e chitarra per tutti.
Vi erano due tabaccai, uno all'inizio della via ed uno alla fine nella piazza dell'Immacolata.
Il Tribunale nel palazzo limitrofo alla chiesa.
Anche il convento delle suore Orsoline aveva sede li, dall'attuale Via V. Veneto al cortile accanto al liceo Gargallo, dov'è ancora allocato.A quel tempo l'edificio del liceo Gargallo fu adibito a caserma degli Inglesi dopo l'invasione. I soldati ci sembrarono santi salvatori perché per ogni servizio che facevamo per loro ci davano una pagnotta di pane fresco.
A ripensarci sono umiliato perché dovetti subire la loro "spacchiusaria". Nel Ronco Bentivegna, "u cuttigghiu criveddu" ,dove abitavano portuali, muratori, pescatori, contadini, tutti volenterosi lavoratori, ad eccezione della prole, " ra bionda", poveretta, morta di crepa cuore a causa dei figli ladruncoli incurabili, vi era un gran pilone in pietra lavica all'inizio.
La via Gargallo era una strada popolata e servita da vari esercizi alimentari.
La salumeria della signora Laruna, il fornaio Stefano "o scivuluni" in Via Mendoza, che noi chiamavamo " o ceusu", per l'enorme albero li esistente.
Nel cortile del palazzo in stile medioevale vi era il marmista. All'ingresso dove era sito ancora l'archivio notarile distrettuale, a sinistra, sul muro, vi era l'edicola di " sangatanu", circondata da una fiorente bucanville. Nella casa a pianterreno, civico ventiquattro, a fianco dell'edicola, abitava la più brava e stimata sarta della città, " ranna maricchia", anziana donna rimasta vedova nel 1905 a soli ventiquattro anni, incinta e con altra figlia di due anni. Il marito era morto in navigazione prima di poter sbarcare in America dove emigrava alla ricerca di un pezzo di pane.
Erano i miei nonni.
A quei tempi in tanti emigravano in cerca di lavoro, come oggi tanti poveracci del cosi detto terzo mondo verso la ricca Europa. Perché terzo, il mondo non è uno solo?
Tutti ci conoscevamo con un soprannome, ma non era un'offesa, era un modo per riconoscerci e distinguerci gli uni dagli altri. Siracusa era un grosso paese, forse con troppi abitanti. Vi erano i soprannominati "pataluna" i "ticchi ticchi", "Pippa a 'ngrasciata", "canni i cavaddu", "u siggiaru", "a 'ncantinera", "a putiara", i"ciuddiani ra piazzetta", o ro cuttigghiu criveddu", "a bionda" "a levatrici, "u zu cammelu runca" , " pasta ca canni", "u gilateri", "u pizza catti", "a tri jrita", "i tuttedda", "ranna ciuzza", "u pisciaru", "u spazzinu". Cacciati dalla Libia, nel dopo guerra, arrivarono molti sfollati. Anche prima ne erano arrivati altri alloggiati al campo profughi ed un via vai continuo "nto campu coloniali" zona attuale via Von Platen, e in viale Luigi Cadorna, ex "vadduni". Oggi non conosciamo neanche chi abita nel nostro stesso pianerottolo, ma allora sapevamo tutto di tutti e quando potevamo darci una mano eravamo disponibili perché c'era rispetto reciproco. Certamente i ricchi erano altra cosa, ma i poveracci ci accontentavamo di poco.
Allora i genitori sapevano sacrificarsi per i figli e li controllavano continuamente, a volte, forse esagerando con qualche schiaffo, come si usava dire, " pani e panelli fanu i figghi beddi".Certamente non erano belli a vedersi gli edifici diroccati dai bombardamenti in via dei Gracchi, "a spidduta", o in via dei Santi Coronati, angolo via Maestranza, pesantemente bombardati nelle lunghe notti del '43. Ma non sono certamente i palazzi dove è allocata oggi la biblioteca comunale e l'ufficio igiene nell'allora via "dei gracchi"che hanno migliorato l'estetica.
A quel tempo, tra il cinema Verga e il palazzo semi diroccato, vi era un caratteristico cortile medievale ed in un basso terraneo abitava " ran Mommu", bidello tutto fare nelle scuole elementari "nuovi", "i scoli vecchi", erano in via Logoteta angolo "jureca".
Le rovine del palazzo in primo piano a destra nella foto, dopo l'intervento di bonifica da parte dell'U.M.B.A. era il teatro delle nostre scorrerie, luogo preferito per far brillare le bombe che ci costruivamo utilizzando un barattolo di latta riempito con polvere da sparo a forma di piccoli ditali. Alla marina, vicino alla sede dei lavoratori portuali, era affondato un grande zatterone militare e noi, tuffandoci, dal fondo del mare prelevavamo il nostro bottino.Usavamo un altro tipo di polvere a forma di spaghetti per miccia necessaria per far brillare la nostra bomba.Il tempo era limitatissimo,appena qualche secondo per fuggire correndo per evitare che ci scoppiasse addosso. L'amara esperienza era stata già vissuta da uno dei ragazzini, un mio coetaneo, che aveva perso alcune dita della mano a causa dello scoppio di un proiettile che egli stesso aveva provocato percuotendolo con un chiodo.