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30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Discussioni sul patrimonio storico/culturale di questa importante provincia ricca d'arte

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30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi Fid il 21 apr 2008 00:21

Affascinato dall'estrema bellezza di questa grande moneta d'argento coniata in Sicilia fra il 1732 e il 1793 da Carlo III e Ferdinando III, volevo rendervi partecipi di questa meraviglia e della storia leggendaria che essa raffigura,per far ciò ho cercato ,adattato e riportato per il forum degli interessanti studi.

L' Oncia d'argento da 30 tarì, coniata a Palermo con l’argento proveniente dalle miniere siciliane è la più grande moneta d'argento coniata sotto i Borboni italiani(quella in foto ha un diametro di 55mm ed un peso di quasi 69 gr)ed era una moneta che raramente si vedeva in commercio(majorca)la presenza della figura della Fenice sul rogo viene spiegata dal Lancillotto Castelli come segue: "Alludendosi colla Fenice che l'Oncia rimasta per tanto tempo moneta ideale risorgeva dalle sue stesse ceneri come è stato scritto di questo favoloso uccello."

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Fra leggenda e realtà

Gli storici hanno avuto diverse posizioni e tutt'ora non è chiaro se sia esistita davvero ,molti la considerano semplicemente il frutto della fantasia dei seguaci del Dio-Sole. altri viceversa credono che il mito possa essere nato dalla presenza di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri.Nella Bibbia prende le sembianze dell'ibis o del pavone; ma storicamente la fenice veviva rappresentata con l'airone rosato o l'airone cinereo basandosi sull'abitudine degli antichi egizi di festeggiare il ritorno del primo airone cinereo sopra il salice sacro di Heliopolis, considerato evento di buon auspicio, di gioia e di speranza.Il volatile più idoneo a rappresentarla è la Garzetta: una specie di uccello affine all'airone, di cui numerosi esemplari vennero sterminati solo poiché i loro ciuffi costituivano le "aigrettes" usate per confezionare i pennacchi coi quali si adornavano le dive.

La sacralità della fenice

Nell'antico Egitto la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra , di cui era l'emblema tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che risorge per prima, venne associata al pianeta Venere che appunto veniva chiamato "la stella della nave del Bennu-Asar", e menzionata quale Stella del Mattino nell'invocazione:«Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat [l'oltretomba] che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»Come l'airone (uccello reale con cui si identificava) , che s'ergeva solitario sulla sommità delle piccole isole di roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo che ogni anno fecondava la terra col suo limo, il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Non a caso era considerata la manifestazione dell'Osiride risorto, e veniva spesso raffigurata appollaiata sul Salice, albero sacro ad Osiride. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e come narra il mito della creazione fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale che all'origine dei tempi sorse dal caos acquatico.Si dice infatti che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta.Nelle leggende ebraiche, la Fenice viene chiamata Milcham. Dopo che Eva mangiò il frutto proibito, divenne gelosa dell'immortalità e della purezza delle altre creature del Giardino dell'Eden così convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta il frutto proibito, affinché seguissero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice che Dio ricompensò ponendola in una città fortificata dove avrebbe potuto vivere in pace per 1000 anni. Alla fine di ogni periodo di 1000 anni, l'uccello bruciava e risorgeva da un uovo che veniva trovato nelle sue ceneri.I padri della Chiesa accolsero la tradizione ebraica e fecero della fenice il simbolo della resurrezione della carne. La sua immagine ricorre frequentemente nell'iconografia delle catacombe.

La morte e resurrezione

Quando, dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461 / 1468, o addirittura 12954 / 12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma. Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo "entro la fine del giorno"), dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro,«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra»

La Fenice nella storia

Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro nell'esodo (VIII secolo AC). Uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo:«Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poiché è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sé i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila.»Proprio a questo spannometrico resoconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di "Araba Fenice". Ovidio, nelle Metamorphoses, ci narra della fenice, uccello che giunto alla veneranda età di 500 anni, termine ultimo della vita concessagli, depone le sua membra in un nido di incenso e cannella costruito in cima ad una palma o a una una quercia, e spira. Dal suo corpo nasce poi un'altra fenice che, divenuta adulta, trasportò il nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del dio Sole.Ovidio dice: «... si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole.»Eliopoli, dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati. in quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente.Tacito arricchisce la storia, scrivendo che la giovane fenice solleva il corpo del proprio genitore morto fino a farlo bruciare nell'altare del Sole. Altri scrittori descrivono come la fenice morta si trasformi in un uovo, prima di essere portata verso il Sole.La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonché del compimento della Trasmutazione Alchemica — processo Misterico equivalente alla rigenerazione umana ("Fenice" era il nome dato dagli alchimisti alla pietra filosofale).Già simbolo della Sapienza divina (cfr. Giobbe 38 verso 36), intorno al IV secolo d.C. venne identificata con Cristo presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.

Dante Alighieri così descrive la Fenice:

che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo appressa
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lacrima e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce.

(Inferno XXIV, 107-111)


Si dice della fenice

-che la Fenice, dal momento che si crea da sé, non può avere alcun Maestro.
-che, essendo un uccello unico (ne esiste soltanto una per volta), è un essere solitario.
-che è ancora più solitario per via del fatto che non si riproduce.
-che può vivere centinaia d'anni, ma sempre da sola, senza nessuno dei suoi simili.
-che, pur essendo lo scopo della sua vita quello di riportare la felicità sulla Terra, lei stessa ha dovuto rinunciare alla sua felicità personale e alla possibilità di amare, dal momento che una Fenice non può avere un compagno.
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Re: 30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi acid il 21 apr 2008 00:39

Bellissima moneta! Patina scura. Quanto può valere?
Sul retro delle monete d'oro e d'argento era immancabile l'effigie del sovrano: eh...la Sicilia era una monarchia all'epoca...bei tempi....

Però, non manca pure qua il valore nominale esposto?
Come capivano quanto valeva?

30 Tarì a quante onze corrispondevano all'epoca? Bella moneta... :wink:

(conviene caricarle sul server http://www.imagehost.ro/ e ridimensionarle a 640, altrimenti vengono tagliate)
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Re: 30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi Fid il 21 apr 2008 00:53

i 30 tarì corrispondevano ad un oncia d'argento, la moneta è rara ma passa frequentemente dalle varie case d'asta, il valore varia molto in base alla rarità,all'anno e ad eventuali piccole varianti ma si aggira su valori superiori ai 6000€,in alcune di queste monete manca la scritta T.30 (tarì 30) questa mancanza fu aggiunta nel 30 tarì del 1793

altre monete siciliane si comprano a prezzi molto più contenuti, ad esempio per una ventina di euro potresti provare a comprare questo bellissimo grano di Carlo di Borbone coniato a Palermo nel 1738

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oppure con qualcosina in più queste bellissima piastra da 12 tarì

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ma se non si vuole badare a spese consiglierei un bel trionfo d'oro :P

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Re: 30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi Fid il 21 apr 2008 01:13

acid ha scritto:Però, non manca pure qua il valore nominale esposto?
Come capivano quanto valeva?


nelle monete settecentesche il nominale può mancare viceversa nelle borboniche ottocentesche c'è sempre
il nominale aveva un importanza relativa, la gente sapeva bene quanto valeva la moneta, semmai i problemi nascevano con il cambio con altra moneta estera che circolava in Sicilia (sopratutto moneta spagnola)
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Re: 30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi DottPeyes il 21 mag 2008 16:15

Ma sono fantastiche [.strafelice.] Le vogliooooo [.primo.]
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Re: 30 tarì siciliani....una moneta dei nostri avi ricca di arte

Messaggiodi Fid il 21 mag 2008 16:20

belle eh :P
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